N° 62

                                                                                                           

LE CORRENTI DEL TEMPO

 

Di Carlo Monni

 

 

1.

 

 

            In due parole: un attentato alla sede della REvolution causato dai tecno-terroristi noti come lo Spettro e il Fantasma ha, per motivi ignoti, scagliato Iron Man circa trent’anni nel futuro e non è affatto un bel futuro. Infatti, un ordigno nucleare sperimentale creato da Arno Stark, il figlio di Morgan Stark, per conto del Dipartimento della Difesa è esploso accidentalmente devastando la città di New York e le zone limitrofe causando milioni di morti tra cui la moglie ed il figlio di Arno che è andato fuori di testa. E queste sono le buone notizie.

            L’ultima cosa che Tony Stark avrebbe voluto è essere costretto a battersi con una versione futura dell’armatura di Iron Man indossata dal suo biscugino Arno, specialmente perché quest’ultimo sembra deciso ad ucciderlo usando dei mini droni che ha chiamato Ironbots.

<<Ascoltami Arno…>> esclama Tony <<Non c’è bisogno di combattere. Sono davvero Tony Stark... vengo dal passato e…>>

<<Bugie!>> urla Arno <<Zio Tony è morto. Tutti sono morti ma non sono stato io. NON SONO STATO IO!>>

        Non c’è modo di ragionare con lui, pensa Tony mentre abbatte un altro Ironbot, la mia sola opzione è sconfiggerlo.

<<Mi dispiace, Arno, ma l’hai voluto tu.>>

            Tony si scaglia contro l’altra figura corazzata e spara il suo uniraggio mentre il suo avversario fa altrettanto. I due uniraggi si annullano a vicenda ed il contraccolpo scaglia i due avversari lontani l’uno dall’altro.

            No, pensa Tony, non sarà affatto facile.

 

            Quasi lo stesso posto, ma trent’anni indietro nel tempo. Un altro Iron Man atterra nei pressi di un capannone della Stark-Fujikawa. Dentro l’armatura c’è Happy Hogan e una parte di lui si chiede perché dovrebbe rischiare la vita contro un nemico quasi imbattibile per salvare la concorrenza. Sa già la risposta: perché non sarebbe capace di starsene da parte mentre qualcuno rischia la vita e poi… in fondo è affezionato a questo posto. Tony può non esserne più il padrone ma è qui che molta parte delle loro vite ha subito svolte fondamentali. È qui che Happy ha incontrato Pepper ad esempio, ed anche se è finita com’è finita tra loro due, lui porterà con sé per sempre un bel ricordo di quei tempi. Ora, però, deve mettere da parte la nostalgia e concentrarsi sul lavoro da fare: lo Spettro è un nemico pericolosissimo e lui stesso è riuscito a sconfiggerlo quasi solo per un colpo di fortuna l’’ultima volta che si sono scontrati.[1] No, niente vittimismo: non era un atteggiamento che aveva quando era un puglie e non l’avrà adesso. Piuttosto… che ci fa con lui il Fantasma? Da quel che Happy ricorda Donald Birch era un ingegnere frustrato che sosteneva che Tony non aveva abbastanza stima di lui e si era sfogato con atti di sabotaggio.[2] Avrebbero dovuto mandarlo in manicomio invece che in carcere. Ripescarlo dall’oblio dev’essere stata un’idea dello Spettro, deve aver trovato divertente l’accoppiata Spettro/Fantasma. Ma a proposito, dove sono quei due criminali?

            La risposta arriva sotto forma di un’esplosione che scuote il capannone. L’onda d’urto scaglia lontano Iron Man che si rialza borbottando:

<<Dovrei imparare a non fare domande stupide.>>

        Due figure escono dal fumo provocato dall’esplosione.

-Iron Man?- esclama, sorpreso, Lo Spettro –Non dovresti essere qui. Allora è vero che ce n’è più d’uno in circolazione.-

-Te lo avevo detto.- aggiunge il Fantasma.

<<Ne basta uno solo per sistemare voi due.>> ribatte Happy sperando di sembrare sicuro di sé.

-Questo è da vedersi.- rilancia lo Spettro –Farai la fine del tuo predecessore.-

<<Non se io potrò farci qualcosa.>> interviene una voce dall’alto.

            Alzando gli occhi sia Happy Hogan che i due supercriminali possono vedere una figura sospesa a mezz’aria che indossa un’armatura blu cobalto.

<<Sono Steel Warrior e voi state violando una proprietà privata.>>

                        Ci mancava anche questo, pensa Happy.

 

            Un altro posto ed un’altra situazione critica. Jim Rhodes ed il suo vecchio amico ed ex commilitone Parnell Jacobs si sono recati nella martoriata nazione africana di Rudyarda alla ricerca di Glenda, la moglie di Parnell, rapita da un non ben identificato gruppo armato. Avevano appena incrociato l’accampamento di una delle milizie che si spartiscono il paese quando un supergruppo di bianchi favorevoli all’apartheid che si fanno chiamare i Supremazisti ha attaccato l’accampamento e Rhodey e Jacobs sono stati costretti a rivestire le rispettive armature di War Machine e Warwear e difendersi.

            I Supremazisti si stanno rivelando degli ossi duri ma Rhodey non intende mollare. Il suo avversario, che si fa chiamare Vendicatore Bianco, sembra valere da solo quanto tutti i suoi compagni messi insieme. Un rapido scan effettuato dalla sua armatura informa War Machine che il Vendicatore Bianco non ha esoscheletri o cose simili: è un umano mutato artificialmente o semplicemente un mutante. Qualcosa deve, però, usare come fonte di energia, ma cosa? La risposta più logica sembra essere il Sole e questo pone un bel problema. In ogni caso quel tipo deve pur avere un punto di rottura e lui lo troverà, deve trovarlo.

            Continua a colpirlo senza tregua. Normalmente non oserebbe colpire un essere umano con i suoi pugni corazzati ma con il suo nemico non ha necessità di questi scrupoli. Se vuole batterlo deve continuare ad incalzarlo con tutto quello che ha.

            Il Vendicatore Bianco riesce a bloccargli i pugni.

-Pensi davvero di potermi battere, amico dei negri?- gli chiede.

<<Visto che me lo chiedi gentilmente…>> risponde War Machine <<… la risposta è: sì, schifoso razzista.>>

        Un colpo di uniraggio parte improvvisamente prendendo il Vendicatore Bianco in pieno petto facendogli mollare la presa e subito dopo due raggi repulsori gemelli partono dai palmi di Rhodey e lo colpiscono al volto, poi War Machine rilascia uno dei mini missili che ha in dotazione.

<<Mi dispiace sprecarlo per te, ma non ho scelta.>>

            Un attimo dopo il missile esplode all’impatto col suo bersaglio.

 

 

2.

 

 

            New York, sede operativa della REvolution. Rae Lacoste-Rhodes, Vice Presidente Esecutivo della società, contempla il disastro causato dallo Spettro: la palazzina principale è lesionata e parzialmente inagibile, un padiglione è stato vaporizzato ed un altro è crollato, un bel colpo per la produzione. Per fortuna, anche se forse è stato solo un caso, le vittime sono state pochissime e solo pochi feriti sono davvero gravi. Beh… non è il caso di recriminare troppo, meglio darsi da fare per riparare i danni il prima possibile.

            Un lieve tossicchiare alle sue spalle richiama la sua attenzione e Rae si gira per vedere una donna pressappoco della sua età capelli castani tagliati corti, occhi azzurri, alta e slanciata.

-Mi chiamo... ah…Watson -si presenta la nuova venuta porgendole la mano -Gayle Watson, sono qui per quel posto di assistente esecutiva.-

-Cosa? Oh sì, certo… il problema è che ora…- Rae s’interrompe di colpo: cosa sta dicendo? Non si farà prendere dallo sconforto, deve essere positiva -… nulla, nulla. Sono lieta che sia venuta. Ci eravamo già viste per i colloqui preliminari la settimana scorsa, vero?-

-Già… non immaginavo che avreste proprio scelto me.-

-Ci ha fatto una buona impressione, specie a Mrs. Arborgast, che di solito è un vero cerbero…- un leggero brontolio giunge dalle sue spalle ma Rae prosegue accennando ad un sorriso, il primo della giornata –L’ha raccomandata lei. Dice che non solo ha davvero bisogno di lavorare, ma non è nemmeno una sciocca senza cervello come molte altre candidate.-

-Ah… immagino che sia un complimento.-

-Lo è, mi creda. Ora mi scusi, ho delle telefonate urgenti da fare. Mrs. A si occuperà di spiegarle quali saranno i suoi compiti e quando comincerà il lavoro.-

            La burbera signora a capo del personale non perde tempo:

-Il tuo compito principale sarà farmi lavorare di meno. –dice alla neoassunta –Sarai l’ombra di Mrs. Lacoste in pratica. Quando puoi cominciare?-

-Beh devo trovare un alloggio abbastanza grande per me ed i miei figli, farli venire da Baltimora e poi.-

-All’alloggio possiamo pensare noi. Figli hai detto? Quanti anni hanno?-

-Il maggiore 15 ed il minore 13. Fanno le superiori.-

            Bambi Arborgast la squadra:

-Ti facevo più giovane.- conclude.

-Mi sono sposata a 18 anni.- risponde Gayle mentre un velo di tristezza le passa nello sguardo –Un errore che oggi non rifarei.-

-Ah… se posso chiederlo: che fine ha fatto tuo marito?-

-Quel bastardo mi ha piantata non appena ha saputo che ero rimasta incinta per la seconda volta. L’ho rivisto solo quando abbiamo firmato le carte per il divorzio e da allora neanche una cartolina per Natale ai figli… che sono l’unica cosa buona che è venuta dal matrimonio.-

            Mrs. A scuote la testa: sapeva già tutto dalle informazioni prese sul conto della donna, ma fa tutto un altro effetto sentirselo raccontare dalla diretta interessata. Purtroppo il mondo è pieno di mascalzoni.

 

            In un luogo lontano, in Africa, una donna ancora giovane, chiaramente di sangue misto, con chiare ascendenze caraibiche che donano alla sua pelle una gradevole tonalità caffelatte, giace su un improvvisato giaciglio in una stanza buia.

            Dovrebbe ritenersi fortunata: è ancora viva e non hanno nemmeno tentato di violentarla… ancora. Ma cosa intendono fare di lei? Perché non l’hanno uccisa come gli altri?

            Una porta si apre d’improvviso. La donna è abbagliata dalla luce e non distingue bene la figura sulla soglia. Indossa una divisa militare e sembra un nero.

-Buongiorno dottoressa Sandoval.- dice –Mi scuso per il suo trattamento, i miei uomini non sono famosi per l’educazione, purtroppo.-

-Lei chi è? Come fa a sapere chi sono?- chiede, perplessa Glenda Sandoval.

-Lei è più famosa di quanto crede, dottoressa. Quanto a chi sono… spero che possa considerarmi un amico.-

            Glenda ne dubita decisamente.

 

            Montecarlo, Principato di Monaco, decisamente l’ultimo posto in cui Michael O’Brien pensava di trovarsi. Può darsi che l’abito faccia il monaco, ma questo è un posto più adatto a Tony Stark che ad un ex poliziotto del Queens, ex agente federale e supereroe part time, pensa Mike. Il problema è che le ultime informazioni dicono che Indries Moomji ha lasciato l’india ed è venuta proprio qui e così ora Mike deve giocare a fare James Bond.

            L’ex poliziotto dalla chioma rossa sta riflettendo su questo mentre sta seduto ad un tavolino del bar di un famoso casinò quando la vede entrare. Non può sbagliare: riconoscerebbe dovunque quella figura altera, quella carnagione leggermente olivastra. Sono molti gli sguardi maschili che si voltano verso di lei al suo passaggio; lei ne è consapevole e lo considera un fatto naturale. Mike si augura che non l’abbia visto o riconosciuto. Fa un cenno ad una ragazza bionda seduta poco lontano, l’agente dello S.H.I.E.L.D. Judith Klemmer, che subito si alza e segue Indries all’interno del salone.

            Ora che hanno trovato la loro preda non se la faranno scappare.

 

 

3.

 

 

            Steel Warrior parla con voce decisa:

<<Avete dieci secondi per sparire tutti… compreso tu, Iron Man… o dovrò usare le maniere forti.>>

-Ci fai davvero molta paura.- replica lo Spettro mentre il suo compagno rimane silenzioso.

Non sto scherzando. Questa è la vostra ultima occasione. Comincio a contare: uno…. Due…>>

<<Aspetta un momento, amico…>> interviene Iron Man <<Quel tipo è…>>

<<Silenzio: so occuparmene da solo. Otto… nove… dieci. Peggio per voi.>>

                Dai palmi dei guanti esce una scarica di energia che passa attraverso lo Spettro senza far danni e viene deviata da un scudo energetico del Fantasma.

<<Ma cosa?>>

                Lo Spettro alza le mani e un impulso elettromagnetico investe le due figure in armatura che si abbattono al suolo.

-Dovevi dar retta agli avvertimenti.- dice lo Spettro, rivolto a Steel Warrior a cui si avvicina –Sei stato tanto stupido da cadere in un trucco così banale. Ora cosa dovrei fare di te?-

<<Che ne dici di: nulla?>> la voce alterata elettronicamente di Happy Hogan scandisce bene le parole mentre la sua mano guantata di ferro si stringe alla caviglia del suo avversario <<Parliamo di cosa fare a te, che ne pensi?>>

-Bene…- commenta lo Spettro -… sapevo che il mio trucchetto non ti avrebbe fermato a lungo, ma ora che pensi di fare?-

            Questa sì che è una bella domanda, si dice Happy e vorrebbe avere una bella risposta. Con tutti gli avversari classici di Iron Man saprebbe come comportarsi ma lo Spettro è di una categoria diversa, perfino Tony ne ha paura e lui… l’ultima volta l’ha sconfitto solo grazie all’aiuto di Jocasta… eppure deve fare qualcosa.

-Troppo tardi.- dice lo Spettro quasi gli leggesse nel pensiero e tocca un bottone della sua cintura

            Qualcosa colpisce Happy che si ritrova schiacciato contro la parete di un capannone e per quanti sforzi faccia non riesce a muoversi.

-Ti piace?- gli chiede lo Spettro avvicinandosi –Un piccolo trucco basato sulla tecnologia di Wizard, solo che i suoi dischi in genere sono usati per annullare la gravità ed il mio la aumenta. Sono convinto che riusciresti a liberartene ma io non te lo lascerò fare. Non pensi che sarebbe interessante vedere che succede se ti attraverso armatura e petto col mio braccio immateriale e poi lo solidifico abbastanza da afferrare il tuo cuore e tirarlo fuori?-

<<Tu… bastardo…>> esclama Happy mentre si sforza al massimo per liberarsi.

-Tsk… che linguaggio improprio per uno stimato membro dei Vendicatori… perché tu lo sei, vero? Beh, sia come sia, facciamola finita.-

-Sono d’accordo.- esclama il Fantasma e con una rapida mossa applica alla schiena dello Spettro una strana apparecchiatura.

-Cosa stai fa…- ha appena il tempo di esclamare lo Spettro prima di cadere a terra svenuto mentre il suo corpo è investito da una potente scarica di energia.

-Perfetto.- commenta il Fantasma.

 

            A parecchi anni nel futuro Tony Stark, anche lui nei panni di Iron Man, vola verso il punto in cui i suoi strumenti gli dicono che è finito Arno. A quanto pare, si tratta proprio dell’epicentro dell’esplosione nucleare causata dalla bomba da luì creata e poi sabotata. Una bomba nucleare assemblata in un centro abitato, che follia. Mentre atterra Tony non può non provare una stretta al cuore: quel luogo, la sede della Stark International, è legato in maniera così inestricabile alla sua vita e qui, in questo tempo e luogo, non c’è più nulla. Tutta la gente che ci lavorava è morta assieme a quasi tutta la popolazione di New York. Tony si impone di non pensarci. Ha fatto abbastanza viaggi nel tempo da sapere che il futuro non è scritto nella pietra ma è malleabile come l’argilla. Questo è solo uno dei futuri possibili e forse lui può fare in modo che Arno non prenda la strada sbagliata, che questo futuro non sia il suo… il loro.

            Lo vede in ginocchio proprio al centro del cratere. Si è tolto l’elmetto e passa la cenere tra le dita borbottando qualcosa. Avvicinandosi Tony può finalmente vedere quanto loro due si somiglino, quasi due gocce d’acqua. Ora può anche sentire quel che dice:

-Non volevo questo… volevo impedirlo. Solo una manciata di secondi… una manciata di secondi e ce l’avrei fatta. Ma io ho progettato la bomba e l’ho fatta costruire qui…. Io sono il responsabile…io… IO!-

            Tony può comprendere la sua angoscia, la stessa che deve aver provato quando è arrivato qui per scoprire che la bomba era già esplosa Non lo meraviglia che sia impazzito.

            Arno si volta a guardarlo. Dai suoi occhi è scomparsa ogni velleità di combattere.

-Sono stato io.- dice –Li ho uccisi io… mia moglie, mio figlio… li ho uccisi io.-

<<Chi ha innescato la bomba: è stato lui che li ha uccisi.>> replica Tony sperando di essere convincente.

-Ma se io non l’avessi costruita… se non l’avessi fatta fare qui… Tu non l’avresti fatto… tu saresti arrivato in tempo.-

<<Non… non è detto. Ho fatto tante sciocchezze in vita mia… compreso costruire qualche superarma proprio qui. Sono solo stato fortunato… molto fortunato. Non puoi cambiare il passato ma forse puoi cambiare il futuro.>>

         Arno è chiaramente perplesso.

-Cosa? Come?- chiede

<<Non lasciare che il senso di colpa, la rabbia e l’autocommiserazione ti distruggano. Hai un grande potere… usalo non per distruggere ma per costruire. Questo mondo tormentato ha di certo bisogno di eroi. Fa di Iron Man uno di loro.>>

            Bel discorso, pensa Tony, Pepper sarebbe fiera di me, ci scommetto, ma sarà servito?

            Le parole escono a fatica ad Arno Stark:

-Io… io non so se ne sarò capace, ma…-

            Improvvisamente la figura rossa e oro dell’armatura di Tony si fa evanescente e lui prova la sensazione di essere strappato via. Sa cosa vuol dire: il flusso temporale lo sta risucchiando di nuovo.

<<Arno… ricorda…>>

            Non termina la frase e scompare. Non può nemmeno sentire quel che dice Arno:

-… io ci proverò, zio Tony… che Dio mi aiuti ci proverò.-

 

            Parnell Jacobs quasi si vergogna di sé, ma deve ammettere che non si sentiva così vivo da tempo. Forse chi diceva che fare il supereroe è una forma di intossicazione aveva ragione: gli piace usare l’armatura Warwear e scatenare il suo potere contro quei bastardi superesseri razzisti che ha di fronte. Nell’ebbrezza dello scontro sta quasi dimenticando la vera ragione per cui è venuto in Rudyarda: rintracciare sua moglie Glenda… quasi.

            Dei Supremazisti solo due hanno retto al suo primo assalto: quello chiamato Capitan Blaze, ma le sue palle di fuoco possono poco o nulla contro la sua armatura, e la ragazza chiamata Harrier. Indossa un’armatura leggera, è armata pesantemente e vola grazie a jet negli stivali. È in gamba e più agile di lui nel volare, ma è il solo vantaggio che ha e non lo preoccupa.

            No, si dice, non diventare troppo sicuro di te: l’arroganza ti ha già danneggiato in passato, ricordalo.

            Harrier spara colpi di energia che non penetrano l’armatura ma riescono comunque a sbalestrarlo. Parnell si riprende subito e decide di reagire spedendo contro la sua avversaria un po’ di droni creati dall’armatura che prima la colpiscono ripetutamente e poi emettono una sostanza viscosa che le si solidifica intorno imprigionandola.

            Harrier non può più volare e cade verso terra ma Warwear è rapido ad afferrarla:

<<Servizio espresso.>> dice divertito.

-Lasciami andare brutto…-

<<Niente parolacce, sono un tipo sensibile… comunque, se ci tieni tanto…>>

         E la lascia cadere.

 

 

4.

 

 

            La prima domanda che Tony Stark si fa non è “Dove sono?” È abbastanza ovvio che è sempre a New York, ma non la New York devastata da un’esplosione nucleare di Arno Stark che ha appena lasciato, questa è una megalopoli dai grattacieli altissimi e scintillanti che non ha mai subito devastazioni così profonde, è chiaro. La vera domanda è: “Quando sono?” Ovvero in che linea temporale è stato sbalzato? Questo non può essere che il futuro ma quale futuro? Un’utopia realizzata o una distopia?

            Improvvisamente due sfere arrivano velocemente fermandosi a mezz’aria davanti a lui e da una di esse parte una voce elettronica.

<<Chiunque tu sia, ti sei introdotto senza autorizzazione in una proprietà Stark-Fujikawa. Giustificati.>>

<<Giustificarmi?>> esclama Tony <<Beh… non so se credereste mai a quel che mi è successo.>>

<<Gli scan dimostrano che indossi un modello dell’armatura conosciuta col nome in codice: Iron Man™. Il suo possesso si configura come grave violazione del copyright e del Trademark appartenenti alla Stark-Fujikawa. Questo atto di pirateria industriale ci autorizza a terminare il trasgressore sul posto immediatamente.>>

<Ehi, un momento.>>

            Dalle due sfere escono due raggi gemelli che colpiscono Tony facendolo vacillare.

<<Ricalibrare: necessaria più energia per la terminazione.>>

            Ma perché deve sempre finire così? Pensa Tony con un sospiro.

 

            Praticamente nello stesso posto ma a più di ottant’anni nel passato un altro Iron Man sbuffa cercando di liberarsi da una scomoda posizione mentre l’uomo mascherato noto come il Fantasma sta disarmando uno svenuto Spettro.

<<Perché l’hai fatto, Birch?>> chiede Happy Hogan <<Credevo che tu e quest’altro pazzoide foste alleati>>

-Lo credeva anche lui.- ribatte il Fantasma –E gliel’ho lasciato credere finché mi ha fatto comodo e poi ho approfittato della prima occasione utile per sbarazzarmi di lui.- rapidamente infila l’attrezzatura dello Spettro nella sua sacca –L’analizzerò per bene più tardi, mi farà comodo per i miei piani futuri.-

<<Che cosa hai in mente di fare?>>

-Che cos’è? Il vecchio cliché del far parlare il cattivo dei suoi piani mentre il buono cerca un modo per liberarsi? Anni fa avrebbe funzionato, lo ammetto, ma se c’è una cosa che ho imparato in prigione è a non perdere tempo, quindi mi scuserai se ti lascio per innescare la mia bomba.-

            La rabbia monta sin nelle viscere di Happy. Gli è stato affidato un compito difficile e non ha nessuna intenzione di fallire, nessuna.

            I suoi muscoli si tendono sino allo spasimo e con una fatica enorme riesce ad avvicinare la mano destra al disco sul suo petto.

            Non riesco a raggiungerlo, pensa, ho solo una possibilità, una sola… anche se farà male mi sa.

            Spara un raggio repulsore ad alta intensità e il disco salta. Terminato il suo effetto di aumento della gravità, Iron Man crolla a terra. Altri uomini, forse perfino Tony Stark, sarebbero rimasti a terra coi muscoli doloranti ed il fiatone ma Happy è un combattente… anche quando era un pugile era troppo ostinato… o troppo ottuso, dicevano altri… per accettare di restare al tappeto. Anche adesso si alza in piedi e con la voce alterata elettronicamente urla:

<<Fantasma!>>

        C’è autentico stupore nella voce di Donald Birch quando si gira e lo vede in piedi ed esclama:

-Tu… tu non avresti dovuto…-

<<Abbiamo fatto delle migliorie all’armatura dai tuoi tempi, Birch… avresti dovuto aggiornarti.>>

        Con un gesto deciso Iron Man gli strappa il costume e la sacca, che schiaccia col suo stivale, poi lo stordisce con un colpo leggero al mento.

<<Ringrazia il cielo che sono un tipo gentile. Ora scusami, ma ho una bomba da disattivare.>>

<<Fermo dove sei.>>

            Steel Warrior, si era dimenticato di lui. Si è ripreso ed ora gli sta puntando addosso la sua versione dei repulsori. Non ci voleva proprio.

<<Ascolta, ragazzo: sarò lieto di vedere chi di noi è il più bravo in un ring di tua scelta quando vuoi, ma qui, adesso sta per esplodere una bomba che ridurrà questo posto in cenere, non sarebbe meglio lasciar perdere le rivalità e collaborare, stavolta?>>

            Un attimo di silenzio e poi Steel Warrior abbassa il braccio.

<<Va bene… troviamo questa bomba e disattiviamola. Se volevano fare danni seri quei due, c’è un solo posto dove potrebbero averla messa.>>

<<La centralina nel capannone principale, ovvio.>>

        Partono in volo entrambi e Steel Warrior si rivolge a Happy:

<<Lo conosci bene questo posto.>>

<<Vuoi scherzare? Io sono Iron Man, praticamente sono nato qui.>>

        E qui ho alcuni dei più bei ricordi della mia vita, pensa, ma non lo dice. Non è difficile trovare la bomba, quanto al disarmarla…

<<Quel dannato Birch è riuscito ad attivarla prima che lo fermassi e adesso se sbagliamo salteremo tutti in aria.>>

<<Anche se non facciamo niente, quindi direi che non abbiamo scelta.>>

                Steel Warrior afferra la bomba e spicca il volo. Il soffitto si apre automaticamente facendolo passare e Iron Man gli vola subito dietro.

            Il giovane nell’armatura blu vola sempre più in alto, alla massima velocità consentita dall’armatura poi scaglia la bomba ancor più verso l’alto.

            Solo pochi istanti poi un sordo rumore riempie l’aria seguito da un lampo accecante, quindi i pochi spettatori possono vedere una figura blu cobalto cadere in picchiata ed un'altra figura rossa e oro afferrarla a mezz’aria.

<<Preso!>> esclama Happy <<Se volevi dimostrare di avere stoffa, giovanotto, ci sei riuscito.>>

        Ma all’interno della sua armatura Chester Harrigan non è, al momento, in grado di sentirlo.

 

            Warwear atterra accanto a War Machine in piedi accanto al suo nemico sconfitto.

<<A quanto pare ce l’hai fatta a stenderlo.>>commenta.

<<Ma ho dovuto usare quasi tutto il mio arsenale per riuscirci, era un osso duro.>>

<<Beh qui in giro troverai abbastanza munizioni per rimpiazzarlo vedrai. Ora, però, abbiamo un ultimo problema.>>

         War Machine si volge verso l’ultimo dei Supremazisti rimasto in piedi: Capitan Blaze.

<Lui? Dopo il Vendicatore Bianco sarà una passeggiata. Sei con me?>>

<<Sempre.>> replica Warwear sogghignando sotto il casco <<Ho giusto bisogno di sfogarmi un po’.>>

            Ed insieme avanzano contro l’avversario.

 

 

5.

 

 

            Rebecca Bergier esce dalla saletta dove si è appena tenuto il meeting del gruppo di sostegno per mancati suicidi. Deve dire che questi incontri la stanno davvero aiutando. Più passa il tempo e più capisce quanto sia stata sciocca a tentare il suicidio dopo aver scoperto che la donna di cui si era innamorata in realtà l’aveva deliberatamente sedotta e manipolata per sabotare la Fondazione Maria Stark. Nessuno dei suoi amici le rimprovera nulla ma anche se ha abbandonato i pensieri suicidi, lei non riesce ancora a perdonarsi per essere stata così stupida.

            È così immersa nei suoi pensieri che quasi va a sbattere contro una giovane donna uscita dal vicino ospedale.

-Mi scusi io…- si ferma riconoscendola –Infermiera Carter!-

-Miss Bergier!- esclama la bruna Linda Carter, poi aggiunge sorridendo –Volevo dire Rebecca, non avevamo stabilito di chiamarci per nome?-

-Giusto… Linda. Sei sola? E le tue amiche?-

-Georgia ha il giorno libero e Christine è appena entrata. Mi ritrovo sola.-

-Peccato...- Rebecca esita, poi prende una decisione –Uh… io posso offrirti qualcosa al bar qui vicino? Un cappuccino, un thè o qualunque altro drink?-

-Con molto piacere.-

-Ah…ma prima c’è una cosa che devi sapere di me: io... io sono lesbica.-

            Rebecca attende col fiato sospeso, preparata al peggio come spesso le succede, poi Linda Carter risponde:

-E questo sarebbe un problema?-

-Per molta gente lo sarebbe, sì.-

-Ma io non sono molta gente, io sono io. Vogliamo andare?-

            Con un sospiro di sollievo Rebecca le si affianca.

 

            Nell’attico di Tony Stark Pepper Potts sta chiacchierando con Happy Hogan, Eddie March e Bethany Cabe.

-… e quando sono tornato giù il Fantasma era scomparso. In compenso lo Spettro è in viaggio verso la Volta. Non si fidano a tenerlo in una prigione normale anche senza la sua attrezzatura.- sta dicendo Happy.

-E intanto ne sappiamo quanto prima su che fine abbia fatto Tony.- puntualizza Beth.

-Prendetemi per matta…- interviene Pepper -… ma io sento che è ancora vivo da qualche parte.-

-Rossa…- le dice Happy -… in tutti questi anni ho imparato a fidarmi delle tue sensazioni. Del resto, noi Irlandesi crediamo alle fate ed ai folletti, perché non anche all’intuito femminile?-

            Pepper sorride.

-Grazie, Happy, sei sempre un amico.-

-Sì… un amico… beh scusate ma c’è una certa signorina a cui avevo promesso una cena ieri e non mi perdonerebbe mai se ne saltassi un’altra.-

-E per quanto possa sembrare strano, anch’io ho un appuntamento, quindi vi saluto.- aggiunge Eddie.

            Beth si ferma sulla soglia e chiede a Pepper:

-Sicura di non volere compagnia?-

-Sicurissima… io e Andy staremo benissimo.-

            La porta si chiude e finalmente Pepper corre ad abbracciare il figlio adottivo e si permette di piangere.

            Deve avere fiducia, non perdere la speranza: Tony tornerà, dovunque sia adesso, tornerà, deve crederci, non smetterà di crederci.

 

            Nello stesso momento, a Flushing, Queens, si sta svolgendo un meeting molto simile. Vi partecipano: Morgan Stark, Rumiko Fujikawa, Sunset Bain, Kenzo Fujikawa, Meredith McCall, il dottor Robert “Hawk” Hawkins e il dottor Ralph Roberts.

-Allora…- esordisce Morgan -… dobbiamo considerare Steel Warrior un altro fallimento?-

-Al contrario.- replica Hawkins –L’unica debolezza di Steel Warrior è stata la vulnerabilità all’EMP emesso dallo Spettro ma da questa esperienza abbiamo imparato come neutralizzare questa minaccia.-

-Ma i sei minuti in cui è stato fuori combattimento avrebbero potuto essere fatali.- aggiunge Rumiko.

-Non lo nego, Miss Fujikawa. Tuttavia sostengo che una volta risolto questo problema Steel Warrior sarà alla pari e perfino superiore a Iron Man.-

-Ammiro la sua difesa dottor Hawkins…- interviene Kenzo Fujikawa -… e sono propenso ad appoggiare il proseguimento del progetto, tuttavia io posso raccomandare ma non decidere, questo potere, qui e ora, spetta a Mr. Stark.-

-Grazie Fujikawa-san.- replica Morgan –Ormai il progetto è in fase troppo avanzata e ci abbiamo speso troppo per abbandonarlo adesso, quindi si continua. Confido, dottor Hawkins che lei ed il dottor Roberts eliminerete tutte le fonti di problema.-

-Ci può scommettere, Stark.- interviene Roberts.

            Lo sguardo di Morgan è duro mentre risponde:

-La scommessa è sua, dottor Roberts: lei ed il dottor Hawkins avete appena scommesso i vostri posti di lavoro,-

            I dirigenti, tranne Sunset Bain escono e Ralph Roberts si lascia sfuggire un’esclamazione:

-Che arrogante figlio di…-

-Su una cosa, però, ha ragione, dottor Roberts.- lo interrompe Sunset –Nel volere dei risultati. Mettiamoci tutti al lavoro.-

            Ma di quel lavoro, pensa la donna, alla fine sarò io a godere i frutti. Lo vedranno… oh se lo vedranno.

 

 

CONTINUA

 

 

NOTE DELL’AUTORE

 

 

Cosa dire su quest’episodio? Molto poco a dire il vero:

1)      per un po’ di tempo vedremo questa serie strutturata su tre piani narrativi distinti: A) l’involontaria scorribanda di Tony Stark nei labirinti del tempo, B) le avventure di un Iron Man nel presente. C) la missione di War Machine e Warwear in Africa alla ricerca di Glenda Sandoval.

2)     Ai pochi che non fossero familiari con la saga dell’Uomo Ragno, rivelo che Gayle Watson è nientemeno che la sorella maggiore (ha esattamente quattro anni di più) di Mary Jane Watson. Le vicende del suo sfortunato matrimonio sono riassunte da lei stessa nella storia e non starò a ripeterle qui. Aggiungo solo che Gayle ignora che il suo ex marito, Timothy Byrnes, ora vive anche lui a New York ed è diventato un avvocato di successo (nonché comprimario della serie MIT di Devil scritta dal sottoscritto).

Nel prossimo episodio: in che pazzo futuro è finito Tony Stark? Che intrighi si tessono intorno a Steel Warrior? Chi ha rapito Glenda Sandoval e perché? Tutto questo e molto di più. Non mancate, mi raccomando.

 

 

Carlo



[1] Nell’episodio #15.

[2] Su Tales of Suspense #63 (Prima edizione italiana Devil, Corno, #47).